Ho pubblicato questa intervista sul numero 1 di “MM”, il quindicinale della Scuola di giornalismo “Walter Tobagi”. Per leggere tutti gli articoli del magazine cliccate qui. È gratis – e ripaga gli sforzi di tutti noi.

Penne e taccuini sono posati sul letto che ha nello studio della sua casa milanese in zona Mo- scova. Nessuno può toccarli. «L’ordine mi serve per ragionare quando scrivo», dice. Sugli scaffali, cartoline di dipinti e libri formano una folla di soggetti d’arte e letteratura. Walter Siti è autore erudito e umano. Emiliano, normalista, si è sporcato di periferie romane. Nei suoi libri ci sono brandelli di vita e ombre, di promesse disattese. Dagli anni ’50, tra le gare di atletica e i consigli di Pasolini sulla stesura della tesi, i soggiorni parigini, gli incontri, la formazione intellettuale di un figlio della campagna modenese. Dice: «Diamoci del tu».
Perché ora qui?
«Per scappare da Roma e da una rela- zione. Era il 2012. All’inizio non mi trovavo bene, anche per il clima. Poi ho smesso di lamentarmi, era un esilio volontario».
L’anno dopo hai vinto lo Strega.
«La cosa ha avuto effetti nei negozi. Le signore borghesi si complimentavano, ma dopo un anno non mi riconoscevano. I fruttivendoli, invece, mi tengono le primizie da parte. Per quello lo Strega è servito [ride]».
Cosa hai scoperto qui?
«Che vivo in una città segreta dove bisogna cercare. Mi interessa la pittura e trovo che luoghi come la chiesa di Sant’Eustorgio, una meraviglia con affreschi di Foppa e del Cossa, come Il miracolo della falsa Madonna dove la Maria e il bambino Gesù hanno le corna, siano vicini alla città».
Perché ci vedi Milano?
«Perché Milano ha un’anima oscura ed eretica che ritorna nella sua storia in modo anti-gerarchico. Da opere simili, come dal David di Tazio da Varallo fino al Barocco sanguinolen- to adorato da Testori, è nata un’altra città».
Quale?
«Quella alto-borghese, anche se sono stato pure a Quarto Oggiaro, Baggio e in realtà occupate. A differenza di Roma, dove la povertà è legata a un filo continuo che unisce i ceti sociali in rapporti da “mondo di mezzo”, a Milano percepisco due città che non si toccano mai».
Questo cosa comporta?
«Per me, da anziano che affronta il tempo, significa rimanere individualmente disperati. Funziona tutto e non c’è spazio per la condivisione: la disperazione è tua e te la tieni. Altrove questa è vicina agli altri. È consolatorio e angosciante».
Più città in una, direbbe Calvino.
«Sì, qui c’è un criptorazzismo espresso con insofferenza. Così le energie utili a combattere il razzismo che diventa legge si esauriscono. C’è una presa di distanza diversa dalla prosemica che Franco Fortini definiva “media durezza europea”. Di fronte a un’ondata di stranieri, che non è un’invasione, la risposta è un arretramento educato per mantenere il proprio status».
Dal tuo ultimo libro: «Cosa vuol dire che vengono prima gli italiani?», «Gli altri vengono sempre prima, italiani o no». Che significa?
Il dialogo conferma che Milano è una città doppia. Per fortuna ci sono forme di solidarietà che offrono una controtendenza permettendo di sentirsi liberi da atteggiamenti di gratitudine forzata o esclusione.
Amore o bontà?
Sono incomparabili. L’amore può essere tutto, fare il bene o il male. È am- pio, il greco ha tre parole per definirlo. La bontà, invece, è un atteggiamento che preferisco, specie se individuale. Diffido di quella collettiva perché tende a diventare retorica rischiando l’esibizione. Non ci sono buoni uguali nello stesso posto. Vengo da una realtà contadina, dove la bontà è fatta di persone che si rimboccavano le maniche. Non sono sicuro che la bontà faccia sempre il bene sociale. Prendiamo Madre Teresa, la cui bontà è considerata fuori discussione. Diceva che non bisognava abortire, cosa giusta per i cattolici. Demografica- mente, però, la sovrappopolazione è un problema e in alcuni Paesi la regolamentazione delle nascite sarebbe opportuna. La sua bontà provocava problemi anziché vantaggio sociale.
Torniamo in città: perché Milano è efficiente?
Per la storia. Un buon governo non si vede subito, ma sui tempi lunghi. Dal Settecento, la Lombardia ha avuto una buona amministrazione che ha lasciato un segno nei cittadini. Pare che il concetto di Kant, per cui il tuo comportamento deve essere la norma generale, si sia interiorizzato. Perfino le persone più semplici lo dicono.
Fosse vivo, Pasolini passerebbe da Milano?
Pasolini ha lavorato qui per fare un film intitolato La nebbiosa. Per un mese incontrò personaggi della periferia. L’impressione è che già allora non si trovasse bene perché mancava il sottoproletariato e trovava solo persone con l’ambizione di imborghesirsi. Lui si è interessato poco agli operai e sarebbe stato solo sfiorato dalla crisi post-industriale. Odierebbe la Milano odierna.
Le fabbriche. Come reputi il contributo proletario?
Il proletariato milanese è stato importante. Il socialismo è stato fondato qui. L’occhio al sociale deriva dal fatto che ci sono sempre stati i soldi e ci si è posti domande su come distribuirli. Le differenze nate dai contrasti tra operai e crumiri hanno creato un’aristocrazia operaia composta da lavoratori orgogliosi del loro mestiere, con ruoli di mediatori nei processi di coscienza professionale e integrazione sul lavoro.
Si sente l’assenza di questa coscienza?
È una lacuna educativa. Oggi bisogna riflettere quando si sente dire che il popolo ha ragione senza pensare alla sua educazio- ne: un popolo ignorante avrà sempre torto.
Milano è un centro culturale. Sarà importante per il futuro?
La cultura scientifica è più forte mentre quella umanistica è sotto attacco. Le case editrici, cuore della cultura milanese, sono in crisi al punto che gli editori esteri vengono qui pensando di fare shopping. Le ripercussioni sono pesanti e i gruppi non esistono più. Qualcuno si vede a cena e bevicchia, ma poi scade nel pettegolezzo. La voglia di parlare di cultura ed elaborare idee si è polverizzata.
Le nuove generazioni e la subcultura aiuterebbero?
Sì, la cultura giovanile a Milano esiste ma non ho la forza di andare a vederla. Credo che sarei fuori luogo.
Che farà Walter Siti da grande?
Morirà.
A Milano?
Sì, penso che sia la mia destinazione. Ho vissuto a Modena, Pisa e Roma. I miei ultimi anni li passerò qui.
Per poi andare al Monumentale, dove dici che ti piace passeggiare?
Lì va solo chi ha onorato la città. Andrò in un cimitero comune. Devo risparmiare le ultime forze rimaste e questo è un posto buono per massi- mizzare gli sforzi. Ho bisogno di una città grande come Milano. Del mondo intorno.