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Attualità Biscotti

Candreva azzecca un cross

Sono interista e Antonio Candreva non è uno dei giocatori che brilla per le prestazioni sul campo. Quando viene schierato sulla fascia i suoi cross non suscitano emozioni né occasioni da rete. Eppure il gesto che il calciatore romano ha fatto, pagare la retta della mensa a una bambina in una asilo di Verona, è un cross decisamente azzeccato. Un piccolo gesto, ma importante, che ha fatto il giro del mondo e si scaglia contro il freddo della burocrazia che trova in un clima politico italiano preciso un terreno fertile per proliferare.

«Eh vabbè, ma tanto quello, Candreva, guadagna milioni all’anno. Deve farlo», il commento medio. E quindi? Non c’è niente di scontato, tantomeno di dovuto. Questo gesto di solidarietà, che richiama a una vicinanza rispetto a temi sociali come, in questo caso, l’inclusione sociale dei bambini nelle scuole, a prescindere dall’etnia di appartenenza, è sempre stato triste vedere un bambino escluso a scuola, qualunque sia il motivo. Il gesto del calciatore di Tor De’ Cenci verso quella bambina destinata da a pranzi a base di tonno e cracker sulla scia che “eseguire” è più giusto, e forse più facile, di “integrare”, è un bel gesto. Punto.

Che risveglia pure un senso di comunità, se si vuole. Candreva di traversoni simili ne aveva già fatti, come quando contribuì a sostenere le vittime del sisma che colpì l’Aquila. In questi giorni ne ha azzeccato un altro, di traversone. Anzi: forse il termine “azzeccato” è inappropriato poiché legato al caso, al fortuito. Qui siamo davanti a un’intenzione. Candreva ce l’ha avuta, questa intenzione. Ce l’ha avuta “di questi tempi”. «Ma non ho ancora fatto niente», dice. E va bene, Antò, un cross alla volta.

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Tobagismi

La (sur)realtà argentina invade il calcio – non il contrario

Un uomo segue una partita di calcio in radio e scopre che lo stadio in cui si svolge l’incontro è solo una finzione proveniente dall’immaginazione di qualcun altro. Poi tutto scompare.

È la trama di “Esse est principi”, il racconto sul pallone scritto a quattro mani da Adolfo Bioy Casares insieme al maestro del surrealismo argentino Jorge Luis Borges. In quella storia lo stadio è il Monumental, quello del River Plate, lo stesso che è stato teatro degli scontri tra tifosi del River Plate e quelli del Boca – e la polizia.

La canzone per l’articolo è un set della dj argentina Sol Ortega.

La rivalità – In 110 anni di futbol argentino la rivalità tra Boca Junior e River Plate è stata più di una partita di calcio. Oggi il Superclasico esula da tutto questo e rimane coinvolto in implicazioni extra-sportive.

Da questione di classe, specie tra gli anni Venti e Trenta, quando le radici e la disponibilità economica dei due club rifletteva la divisione di una capitale, la rivalità in questa settimana è diventata specchio di un paese.

I due quartieri aspettano. Da un lato il barrio Palermo dei Millonaros del River, dall’altro La Boca degli Xeinezes, dal nome degli immigrati genovesi che fondarono la squadra. Un quartiere dalle origini operaie e marinare contro uno aristocratico e alto-borghese, ovvero una questione esistenziale del Novecento. Quel tempo sembra finito anche per questa rivalità, ormai macchiata da altro.

La crisi economica – C’è poca fantasia, però, nei disordini pre-match tra i tifosi del River e quelli del Boca – e la polizia. La vicenda esula dal calcio: è reale ed esprime la condizione di tutta l’Argentina. Il governo di centro-destra presieduto dal presidente Mauricio Macri è sotto pressione per l’ennesima depressione economica che affligge il paese.

In Argentina la crisi economica affonda le proprie radici al tempo della dittatura ed evoca i crack finanziari del 2001 confermando la fragilità del sistema finanziario nazionale. Che tende spesso a rendere squilibrato il mercato anche a causa di una moneta debole.

La crisi istituzionale – La popolazione argentina soffre una società contraddistinta da disuguaglianze sociali acuite da fenomeni che guastano lo stato di salute di una democrazia, su tutti: corruzione e criminalità. In questo senso, etichettare i fatti successi a Buenos Aires come episodi di mera violenza è riduttivo.

«Vergogna mondiale» è stato il titolo più utilizzato sulle prime pagine della stampa argentina per definire gli scontri, nel sentimento di sdegno il calcio svolge un ruolo marginale. C’è una crisi istituzionale importante che va oltre la capacità di un popolo di godere del solo “pane e circo”.

Paolo Galassi ha scritto su La Repubblica che dietro agli scontri di Buenos Aires ci sarebbe una ripicca da parte dei caudillos, parola dello slang argentino traducibile in “capetti”interni alla polizia.

Questi agenti avrebbero boicottato le misure per arginare i tifosi perché hanno visto uno smacco nella lotta alla corruzione portata avanti dal ministro della Sicurezza di Buenos Aires Martin Ocampo.

Le misure di Ocampo avrebbero ridotto la corruzione che unge i dipartimenti delle forze dell’ordine e questo, in tema di surreale, gli è costato il posto e si è dimesso. E nel weekend ci sarà il G-20.

La criminalità – Tra gli scontri erano presenti anche affiliati de Los Borrachos del Tablón, gang criminale nota per gestire alcuni traffici di droga nella capitale argentina.

Nel 2018 il gruppo, o barraclavas,  è stato colpito da diverse operazioni delle squadre narcotici. L’ultima ha visto il sequestro di 7 milioni di pesos, 15mila dollari in contanti e, soprattutto, 300 biglietti per lo stadio. Esatto: questa gang criminale entra ogni domenica al Monumental, dove frequenta le curve del River.

Gli stessi inquirenti pensano che la società abbia dato sotto banco i biglietti per il match. Certa è invece la simbologia e il messaggio che il gruppo ha voluto dare preferendo gli scontri e disertando il settore che occupa.

Similmente al racconto di Borges, bisogna sperare che a scomparire sia tutto ciò che circonda il Monumental. E non è il calcio.