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Attualità Praticantato

«Io, fuori da una gang di latinos»

Articolo pubblicato su “MM”, il quindicinale della Scuola di giornalismo “Walter Tobagi”. Scarica e leggi il magazine in formato digitale cliccando qui

Due giorni dopo il suo diciottesimo compleanno Javier, nome di fantasia, finisce in carcere per associazione a delinquere. Viene arrestato alle 4 del mattino con un’ordinanza di custodia che coinvolge altre 25 persone legate come lui alla Ms13, la Mara Salvatruchauna, una delle gang latine più feroci di Milano. «Già un blitz è movimentato, immagina con i postumi di un compleanno», scherza. Oggi 23enne, chiede l’anonimato «non per le ritorsioni», spiega, «ma per non intaccare la vita di ora». Arrivato in Italia nel 2000 con il ricongiungimento, Javier entra presto in una pandilla di Milano. In sede processuale, i giudici del tribunale minorile preferiscono sospendergli la pena con messa in prova. «Con gli altri in carcere abbiamo deciso di cambiare, ma solo io entro in comunità», racconta Javier. Che, uscito, ritrova i suoi compagni di cella. Una bevuta la prima volta, poi le richieste di tornare come prima. Lui rifiuta e continua il suo percorso tra difficoltà, sedute psicologiche e la responsabilità di una scelta. Ma non basta, insistono con maniere forti, questi amici. «Che sono gli stessi dei fatti accaduti alla stazione di Villapizzone, dove aggrediscono un ferroviere a colpi di machete, tranciandogli un braccio».

La violenza piega intere comunità a rimanere in silenzio e ad avere paura, legando l’Italia a un filo che porta dritto in San Salvador, dove i capi proclamano dalle carceri i reggenti di quelli che considerano i vicereami tra Lombardia e Liguria. Il fenomeno delle ritorsioni ai parenti in Salvador è così centrale che, secondo fonti delle comunità latine milanesi, lo stesso corpo diplomatico italiano ha spedito alle autorità salvadoregne un avviso circa le minacce che partivano dall’Italia. Queste dinamiche complicano il lavoro dei professionisti del sociale nel tutelare la scelta di chi vuole allontanarsi da violenza e morte. «Andavo nelle aree dove si ritrovavano vari gruppi, come i Latin Kings», racconta Massimo Conte di Codici Ricerche. «I salvadoregni arrivavano per fuggire dalla “luce verde”, come quella del semaforo, per cui qualcuno, da un affiliato rivale fino a un paramilitare della sombra negra, può ucciderti. Chi è riuscito ad avere una vita pulita ha fatto tutto in incognito perché chi era un ex doveva gestire il suo esserlo a causa delle ritorsioni. C’è un percorso di involuzione per cui quello che facevo negli anni Duemila oggi non posso più farlo. Servirebbe un investimento politico e istituzionale che si fa fatica a vedere», conclude Conte.

Le nuove generazioni subiscono il fascino di storie maledette e la mancata integrazione dopo il ricongiungimento fa il resto. Oggi le dinamiche di appartenenza colmano un vuoto e portano molti giovani sudamericani a una vita criminale. È successo così anche a Javier, che stava sotto l’ala protettrice di Kamikaze, capo storico della 13. «Ero piccolo e gli servivo. Mi portava sempre con lui, anche in vacanza. Sono cresciuto senza un padre e vedevo in lui un sostituto, mia madre era terrorizzata». Solo una lettera di Kamikaze dal carcere, in cui lo ringrazia per non aver fatto il suo nome in un processo per due rapine, assicura a Javier di allontanarsi dalla strada. «La messa in prova me la sono guadagnata lavorando in un centro diurno per disabili», sottolinea Javier, «stare con queste persone mi ha cambiato per sempre. Arrivo la mattina e sento che mi aspettano, che sono importante per loro. Ti ringraziano con uno sguardo per un bicchiere d’acqua. Capisci tante cose: è diventato il lavoro che voglio fare. Un giorno mi chiesero di fare degli straordinari, avevo già lavorato nove ore, ma accettai: ero così contento che dopo andai al lago con la mia compagna e mio figlio. Per me è bellissimo. Sto cercando di insegnare queste cose al mio bimbo».

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Attualità

Gli spaccaossa miserabili

Articolo pubblicato su “La Sestina“, il quotidiano online della Scuola di giornalismo “Walter Tobagii

Fratturavano ossa a vittime consenzienti usando dischi di ghisa e blocchi di cemento per poi truffare le compagnie e riscuotere i premi assicurativi. È il quadro di disperazione e miseria svelato dagli uomini della Squadra mobile di Palermo e Trapani nell’operazione “Tantalo Bis” che ha portato all’arresto di 42 persone, tra cui un avvocato che avrebbe curato le questioni legali. L’operazione, condotta dalla Procura della Repubblica di Palermo e coordinata dai procuratori aggiunti Sergio Demontis ed Ennio Petrigni, coinvolgerebbe un centinaio di complici appartenenti alla rete della banda specializzata in frodi assicurative. La Guardia di Finanza, inoltre. ha sequestrato beni mobili, immobili e disponibilità finanziarie agli indagati per un valore stimato di oltre mezzo milione di euro.

Il sistema – Le vittime erano ai margini della società afflitte da problemi economici, malattie mentali o tossicodipendenze, adescate dalla banda con la promessa di un guadagno sui 300-400 euro. Quindi i colpi a pesi da palestra o mattoni per procurare le menomazioni. Che dovevano essere il più realistiche possibile per poter truffare i medici delle compagnie assicurative e ottenere premi che oscillavano tra i 100 e i 150mila euro l’uno. Le lesioni interessavano braccia e gambe, con danni anche gravi che costringevano le persone coinvolte alle stampelle e alla carrozzina per mesi. I casi registrati sono oltre sessanta.

Il precedente – L’operazione appartiene a un filone di indagini partite nel gennaio del 2017 e che ha portato l’estate scorsa all’arresto di 11 persone, tra cui un’infermiera dell’ospedale Civico di Palermo che somministrava anestetici per lenire il dolore delle fratture. All’epoca gli inquirenti accertarono attraverso pedinamenti e analisi dei tabulati telefonici che Hadry Yakoub, 22 anni, ritrovato tumefatto sul ciglio di una strada palermitana, non era vittima di un pirata della strada. Il tunisino era morto per le lesioni. Era morto per «guadagnare qualcosa», come emerse da un’intercettazione tra due complici.