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Torrenova, l’altra Roma

Articolo pubblicato su “La Sestina”, il quotidiano online della Scuola di giornalismo “Walter Tobagi” di Milano. Leggi tutti gli altri articoli cliccando qui

Via della Tenuta di Torrenova è poco più di un chilometro di strada nella periferia sud-est della Capitale, tra Tor Vergata e Tor Bella Monaca. La strada è costeggiata da tre complessi di edilizia popolare che i residenti chiamano “case” e differenziano per i colori con cui sono state verniciate dopo la costruzione avvenuta a partire dagli anni Settanta: le rosse, le bianche e le verdi. Qui c’è un’altra Roma, dove alle minacce di stupro di Casal Bruciato e ai panini gettati in strada di Torre Maura si contrappongono i gesti di accoglienza di un centinaio di persone che hanno organizzato turni per proteggere una madre rom e le sue figlie dagli estremisti di destra locali.

La vicenda – Domenica 4 maggio alcuni residenti delle case verdi e i neofascisti di Azione Frontale si sono dati appuntamento sotto il portone di Suzana, una donna di origine rom che vive dal 28 marzo nel complesso popolare insieme alle quattro figlie. La colpa della «zingara» è stata quella di «superare gli italiani nelle graduatorie», vedendosi assegnare regolarmente un alloggio dal Comune. La dimostrazione non aveva ottenuto autorizzazioni, ma il gruppo composto da neofascisti e residenti ha deciso comunque di sfilare, con le camionette delle Forze dell’ordine a vigilare. Quindi gli insulti e le minacce da sotto il balcone. «Zingari di merda», canta a mò di coro un uomo. «Prima gli italiani», il motto generale.

«Hanno minacciato di mettermi una bomba in casa» – «Da quando mi hanno assegnato l’alloggio i miei figli sono stati insultati. “Andate via”, gli dicevano. Hanno minacciato di mettermi una bomba in casa», racconta Suzana ad Ala News. È la stessa donna a confermare come la tensione sia esplosa poche settimane prima della protesta, quando i suoi figli hanno avuto un litigio con altri ragazzi della zona. Sarebbe bastato questo per i residenti delle case verdi per andare sotto il balcone della donna, insultandola e mostrandole un sacco dell’immondizia nera come «posto che ti spetta».

La risposta – Nelle ore successive all’accaduto almeno un centinaio di persone si sono radunate nello stesso cortile, ma non per continuare con le minacce bensì per difendere Suzana. Dopo una serie di messaggi via WhatsApp, diverse sigle di sinistra, dai sindacati alle mamme di quartiere fino all’Anpi locale, hanno creato una rete di solidarietà organizzando turni di veglia davanti alla Scala I, dove vive la famiglia di Suzana. «Come Asia Usb abbiamo voluto riportare l’attenzione sui problemi reali – spiega Maria Vittoria Molinari, presente alla manifestazione – Mentre i fascisti spostano l’attenzione sfruttando i problemi dei più deboli, noi vogliamo che si parli di questioni cruciali come la mancanza di alloggi popolari. Sono dinamiche particolari e delicate per cui i residenti prima litigano coi rom e poi vengono messi l’uno contro l’altro. Nelle popolari ci sono più nuclei che vivono. La mancanza delle case popolari – continua – dovrebbe essere il punto su cui le istituzioni dovrebbero agire. Caserme dismesse, case di un tempo sede di enti ed ex-uffici rimangono disabitati».

Uno dei volantini diffusi a Torrenova da Azione Frontale che ritrae Molinari, una delle partecipanti della contromanifestazione antifascista

I volantini – Dopo la contro-manifestazione c’è stata anche una ritorsione: l’affissione di volantini che ritraggono la stessa Molinari con un testo volto a screditarne l’operato e quello di chi ha partecipato al gesto di solidarietà nei confronti di Suzana. I volantini sono stati diffusi in tutto il quartiere di Torrenova a firma “Azione Frontale”. Tuttavia, i presìdi delle donne antifasciste continuano. «Siamo mamme, insegnati e dirigenti sindacali parte di una rete di coordinamento presente in tutto questo municipio – conclude Molinari – Siamo anche diverse sul piano politico, ma abbiamo una visione aperta per cui nelle nostre periferie questa gente non deve attecchire e devono esserci altre priorità».

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Attualità Biscotti

Candreva azzecca un cross

Sono interista e Antonio Candreva non è uno dei giocatori che brilla per le prestazioni sul campo. Quando viene schierato sulla fascia i suoi cross non suscitano emozioni né occasioni da rete. Eppure il gesto che il calciatore romano ha fatto, pagare la retta della mensa a una bambina in una asilo di Verona, è un cross decisamente azzeccato. Un piccolo gesto, ma importante, che ha fatto il giro del mondo e si scaglia contro il freddo della burocrazia che trova in un clima politico italiano preciso un terreno fertile per proliferare.

«Eh vabbè, ma tanto quello, Candreva, guadagna milioni all’anno. Deve farlo», il commento medio. E quindi? Non c’è niente di scontato, tantomeno di dovuto. Questo gesto di solidarietà, che richiama a una vicinanza rispetto a temi sociali come, in questo caso, l’inclusione sociale dei bambini nelle scuole, a prescindere dall’etnia di appartenenza, è sempre stato triste vedere un bambino escluso a scuola, qualunque sia il motivo. Il gesto del calciatore di Tor De’ Cenci verso quella bambina destinata da a pranzi a base di tonno e cracker sulla scia che “eseguire” è più giusto, e forse più facile, di “integrare”, è un bel gesto. Punto.

Che risveglia pure un senso di comunità, se si vuole. Candreva di traversoni simili ne aveva già fatti, come quando contribuì a sostenere le vittime del sisma che colpì l’Aquila. In questi giorni ne ha azzeccato un altro, di traversone. Anzi: forse il termine “azzeccato” è inappropriato poiché legato al caso, al fortuito. Qui siamo davanti a un’intenzione. Candreva ce l’ha avuta, questa intenzione. Ce l’ha avuta “di questi tempi”. «Ma non ho ancora fatto niente», dice. E va bene, Antò, un cross alla volta.

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Attualità Tobagismi

Gulliver, quando l’utopia diventa realtà

Finanziare progetti di solidarietà e reintegrazione sociale, correndo. Questo l’obiettivo di #RUN4THEFUTURE, iniziativa della cooperativa sociale “Gulliver” di Varese che, lo scorso 7 aprile, ha organizzato una raccolta fondi legandosi alla Milano Marathon attraverso il Charity Program dell’evento.

Alla competizione podistica hanno partecipato 322 persone, impegnate a correre i 42 chilometri, due in solitaria e gli altri in staffetta, per completare l’arredo della Cascina Redaelli. Nella sede in località Bregazzana, l’associazione svolge attraverso tre delle sue 8 comunità terapeutiche attività di assistenza legate al recupero e alla cura di persone affette da malattie psichiatriche o in condizioni di tossicodipendenza.

Grazie ai fondi raccolti l’anno scorso durante il medesimo evento, dieci ospiti hanno ottenuto una camera rinnovata. Ora, l’obiettivo è di rinnovarla per tutti i 55 ospiti della struttura. Attualmente, tramite “Rete del dono”, il centro ha raccolto oltre 41mila euro, superando del 10 per cento la cifra stabilita.

 

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Praticantato

La sinergia che aiuta i senzatetto

Ho pubblicato questo articolo sul numero 3 di “MM”, il quindicinale della Scuola di giornalismo “Walter Tobagi”. Per leggere tutti gli articoli del magazine cliccate qui. È gratis – e ripaga gli sforzi di tutti noi.

J. è un uomo sui 40anni e vive in strada a Milano da tre. Un matrimonio finito nell’alcol, la causa. Con accento sudamericano chiede l’anonimato. Disegna a mani nude, sfumando i pastelli con le dita. «Se ti piacciono i miei soggetti puoi scrivere che sono ben fatti?». Tra le tavole realizzate, un ritratto dell’ex centravanti nerazzurro Ivan Zamorano. «È stato il mio giocatore preferito», svela.

J. è uno dei 2.608 senzatetto milanesi rilevati in RacContami, il censimento realizzato dalla Fondazione Rodolfo Debenedetti in collaborazione con l’Università Bocconi, il Comune di Milano e 700 volontari. Stando al rapporto, le persone senza fissa dimora sono lo 0,19 per cento della popolazione totale. Un dato nella media delle grandi città europee, ma che rimane il più alto su scala nazionale. Dopo la morte di un clochard a Porta Genova, risale allo scorso dicembre l’appello del sindaco Giuseppe Sala per persuadere chi vive in strada a proteggersi dal freddo servendosi dei dormitori.

La tragedia è dovuta al fatto che il 71 per cento del campione di senzatetto coinvolto dorme in strada, correndo gravi rischi in inverno. Dal 2013, inoltre, il rapporto evidenzia un aumento del 4 per cento tra le persone che passano la notte all’aperto.

«Spesso è una scelta di vita», racconta Giovanni Masini, volontario che da cinque anni prepara pasti e assiste in strada con Misericordia Milano Sant’Ambrogio. «Queste persone hanno la loro libertà, mentre nel dormitorio ci sono delle regole come l’orario di rientro o il divieto di alcol e droghe. Dopo molti anni in strada, è difficile avvicinarsi anche solo alla mensa». Nonostante le difficoltà, a Milano c’è sinergia tra istituzioni e associazioni. Lo stesso Piano Freddo è realizzato dal Comune insieme a loro. Alla fine di ogni turno, i volontari compilano una relazione sulle condizioni dei senzatetto incontrati. Le varie squadre che escono di notte sanno quali percorsi fare sulla base della rete sviluppata insieme a palazzo Marino. Gli spazi e la condivisione di dati sono frutto di questo coordinamento che permette al sistema di funzionare, rappresentando un modello per tutto il Paese con quasi 2.400 posti letto.

«Milano è una città dove aiutare fa parte di un processo strutturato», conferma il vicepresidente dell’associazione aconfessionale City Angels, Sergio Castelli. L’Oasi dei Clochard è l’ultimo progetto dell’organizzazione fondata nel 1994 da Mario Furlan: un centro in via Lombroso sottratto al degrado, con funzione di prima accoglienza e integrazione sociale. «Ci sono container con tutte le comodità dove vengono serviti pasti a 175 persone», spiega Castelli. «Sta per nascere un orto curato dagli stessi ospiti e una colonia felina, prima spontanea e ora in via di verifica da parte dell’Asl». Gli stabili in cui operano le organizzazioni sono dati in concessione tramite bando pubblico e, una volta riorganizzati, rappresentano spazi utili per l’intera collettività. «Tutti gli anni riceviamo un dormitorio dal Comune, spesso una struttura dismessa», spiega Masini. «L’anno scorso si trattava di un ex ambulatorio dell’ospedale di Niguarda. Lo abbiamo allestito, pulito e mantenuto: un servizio sul piano economico, perché il Comune non ce la farebbe a coprire i costi».

Secondo RacContami, l’intera rete di organizzazioni no profit alleggerisce le spese dei comuni italiani. Supponendo una paga ai volontari di 10 euro all’ora per una media di 3 ore a settimana, lo studio ha stabilito che l’intero terzo settore italiano muoverebbe 8 miliardi di euro all’anno. Le organizzazioni però incontrano difficoltà economiche. La loro natura no profit esclude ogni guadagno. «La gestione dei vari pagamenti rappresenta il problema principale», spiega Castelli. «Ospitare un senzatetto dandogli vitto, alloggio e assistenza sanitaria ha un costo che l’importo della retta non copre». La retta elargita dal Comune di Milano, anch’essa assegnata via bando, equivale a 11 euro al giorno. In quella cifra deve rientrare tutto. «Il Comune cerca di aiutarci, ma è dura perché nel terzo settore le rette sono tutte simili».

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Tobagismi

Oltre un secolo di attesa per abolire il linciaggio negli Usa

Il Senato americano ha approvato una legge che sancisce il linciaggio come reato federale. La decisione mette fine a una pratica d’odio costata migliaia di vite soprattutto tra gli immigrati e le persone di colore. Non sono disponibili dati precisi sulle vittime perché le registrazioni dei casi sono iniziate soltanto a fine Ottocento, ma nel corso dei decenni diverse organizzazioni, come la National National Association for the Advancement of Colored People o il Tuskegee Institute, hanno registrato quasi 5mila vittime tra uomini, donne e bambini. Il tasso di impunità dei carnefici è del 99% per i casi registrati.

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