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L’omaggio di Cannes ad Agnès Varda

Articolo pubblicato su “La Sestina“, il quotidiano online della Scuola di Giornalismo “Walter Tobagi”

Come ogni anno il Festival di Cannes attira l’attenzione dei cinofili con la pubblicazione della locandina della kermesse sulla costa azzurra, giunta quest’anno alla sua 72esima edizione. Il poster rilasciato dagli organizzatori è un omaggio alla regista belga Agnès Varda, premio Oscar alla carriera nel 2018, scomparsa a Parigi lo scorso mese a causa di un tumore. Contornato di sfumature arancioni, l’artwork richiama le atmosfere estive di Pointe Courte, il film del 1955 che consacrò l’artista tra gli avanguardisti del nuovo corso del cinema francese. L’immagine cattura Varda in una rocambolesca sessione di riprese sul set della pellicola, prima delle tredici portate dall’autrice al Festival, presentata proprio a Cannes nel 1955. Non è ancora chiaro quali iniziative saranno dedicate alla regista durante questa edizione, né sono giunte anticipazioni riguardo proiezioni speciali dedicate.

Festival de Cannes

@Festival_Cannes

All the way up. As high as she could go.
Agnès Varda will be the inspirational guiding light of this 72nd edition of the Festival!
La Pointe courte © 1994 Agnès Varda and her children – Montage & design : Flore Maquin.
More info: http://festival-cannes.com/en/infos-communiques/communique/articles/the-official-poster-of-the-72nd-cannes-international-film-festival 

Regista innovativa – Di Varda, è certo il contributo e il suo impegno nel e per il cinema. Nata a Bruxelles nel 1928 da madre francese e padre greco, Agnès inizia la sua carriera artistica a Parigi lavorando come fotografa al Théâtre national populaire, allora diretto da Jean Vilar. Nel tempo la passione e gli amori, quello tormentato con il costumista Antoine Boursellier, con cui ebbe un figlio poi riconosciuto dal suo secondo marito, quello della vita, il collega Jacques Demy, padre del suo secondo bambino. Eppure il tempo per Varda sembra essere trascorso in fretta, tanto che negli anni è rimasto inalterato il suo taglio di capelli “a caschetto”, marchio estetico inconfondibile, frutto di una decisione presa a 18 anni quando cambiò il suo nome da Arlette ad Agnès. Sempre libera, lei. Che dopo anni trascorsi a catturare l’immagine passa al movimento, girando a budget ridotto il suo primo lungometraggio, Pointe Courte, la pellicola che a detta dei critici apre al nuovo gusto francese in fatto di cinema. Ambientazioni semplici e suggestioni dal reale, vissute da personaggi che ricalcano un modo di essere che è linguaggio innovativo rispetto alla tradizione filmografica precedente.

La pellicola iconica – Lo stile del film è incentrato proprio su questa freschezza, di cui Varde si fa portavoce partendo proprio dallo stile smaliziato con una trama coinvolgente. Siamo nel quartiere di Pointe Courte a Sète (città nel sud della Francia dove la stessa Varde si trasferì con la famiglia ndr), una coppia di sposi, interpretata da Silvia Monfort e Philippe Noiret, vanno in vacanza nel paese di lui, esplorando il loro amore fragile e mettendo in discussione un matrimonio con qualche problema. La scenografia è contraddistinta da ambientazioni mediterranee in cui respirano umanità pescatori, donne vivaci e bambini intenti a giocare tra i gatti randagi. In 65 anni di creatività, l’omaggio di Cannes a Varda è doveroso e assume i contorni di una meditazione del pubblico sulla sua capacità di osare. Una qualità che proprio nella locandina di Cannes rivive e fa rivivere ciò che le valse la notorietà artistica, ponendola al centro delle sperimentazioni future del cinema francese, di cui rimarrà l’unica regista donna. Regista, prima di tutto.

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Tobagismi

Quando Guttuso raccontava le rivoluzioni di Parigi

Oggi non ci saranno musiche di sottofondo perché questo post è basato su un video. Il protagonista è Renato Guttuso che racconta la rivoluzione francese del 1789 partendo dai luoghi di Parigi e dal rapporto di amicizia tra il pittore David e il rivoluzionario Marat.

Sono settimane che la Francia sta vivendo quella che è stata definita come una “rivoluzione” pur senza comprendere la direzione politica del movimento nato per protestare, tra le tante cose, contro i rialzi delle accise sui carburanti volute dal governo Philippe-Macron.

È stato commesso un errore sulla valutazione di ciò che sta accadendo in Francia: i gilet gialli propongono cambiamenti sul versante sociale come non accadeva da anni. Bisognerà solo capire se questo versante sociale si tramuti in “giustizia sociale”. Questo è il punto cruciale: il problema resta la direzione che questo fenomeno (para)politico avrà sullo scenario francese – ed europeo.

Non è ancora noto quanto le infiltrazioni populiste e nazionaliste, infatti, reggano l’intera organizzazione che si scontra con la polizia e con un preciso agente politico macronista.

Bisognerà aspettare e vedere cosa succede. Nessuno ha doti per rivelare verità su questo aspetto né tantomeno prevedere quale riflesso verrà creato dalle rivolte dei gilet gialli sui paesi vicini. Italia inclusa, ovviamente. Anzi qualcosa lo abbiamo già visto.

Da questo documentario Rai del 1972 curato da Anna Zanoli e diretto da Luciano Emmer, possiamo ottenere, invece, uno sguardo indiscreto su una Villa Lumiére che ha intrinseca nella sua storia una vocazione provocatoria e ribelle spesso pericolosa.

Da questo video, inoltre, possiamo notare la differenza di linguaggio e l’interpretazione artistica sublime che Renato Guttuso dava dell’atto rivoluzionario e dei rapporti umani che questa creava o rafforzava. In poche parole questo video fa comprendere come un evento colossale come una rivoluzione possa legare vite com’è inscritto nella suastessa natura di pratica umana degli eventi politici e sociali.

Parigi è un luogo di rivoluzioni – borghesi nella maggior parte dei casi – dove il concetto di storia si è concretizzato in un filo lungo 300 anni. Ma Parigi e la Francia tutta sono anche luoghi in cui le persone scendono in piazza dal XV secolo per manifestare contro le esagerazioni e le ingiustizie sociali anteposte dai governi. In questo senso il viaggio di Guttuso rimane attuale. Lo rimane di meno, purtroppo, per la poesia, la virtù e l’ampiezza di respiro sociale rappresentato dal rapporto tra David e Marat.

Guttuso ricerca nell’arte e in loro un mondo che sembra scomparso e che oggi qualcuno vorrebbe far rivivere senza però volersi assumere le responsabilità di un legame umano oltre che politico. E permetteva alle persone di non avere troppi dubbi nello scendere in strada spalla-a-spalla. «La rivoluzione si fa tra amici», parola di Guttuso.